lunedì 21 febbraio 2011

POLONIA: Riformare le pensioni per ridurre il debito?

scritto per East Journal, 3 marzo 2011

La riforma del sistema pensionistico polacco, proposta dal governo Tusk per ridurre il debito pubblico, ha provocato la reazione dei liberali, guidati dall’ex ministro delle finanze Balcerowicz.

A fine gennaio Tusk è stato attaccato da parte dei liberali per il suo piano di riforma delle pensioni. Leszek Balcerowicz, già ministro delle finanze nel 1989-91 e autore della transizione della Polonia al capitalismo, ha rigettato il piano di riforma, definendolo a rischio di diminuire la crescita economica e le pensioni future. La querelle è stata definita una “guerra nel campo della modernizzazione” e ha diminuito la credibilità del governo di fronte ai liberali,che già gli rinfacciano il ritardo nelle tanto promesse riforme.

Il sistema polacco delle pensioni è differenziato tra i vecchi fondi statali pay-as-you-go ZUS, e i fondi privati obbligatori OFE, introdotti dal 1999 con i proventi delle privatizzazioni.  L’introduzione dei fondi OFE ha tuttavia causato una diminuzione della disponibilità dei fondi per il pagamento pay-as-you-go delle pensioni, portando alla crescita del deficit (1,7% PIL nel 2010) e del debito pubblico (+15% PIL nel 2010). Inoltre, il governo polacco deve confrontarsi con stretti criteri fiscali interni: è addirittura la Costituzione polacca a stabilire un tetto massimo per il debito pubblico al 55% del PIL, oltre il quale il governo dovrebbe introdurre politiche di austerity; nel 2010 il debito ha toccato il 53,5%, e ci si aspetta che resti ad un livello costante nel 2011.
La riforma delle pensioni avrebbe quindi l’obiettivo, secondo Tusk, di ridurre deficit e debito per consentire al governo un certo margine di manovra nel rispondere alle fluttuazioni del mercato dei cambi.
Il piano prevede la diminuzione dei contributi salariali ai fondi privati OFE dal 7,3% al 2,3%, e il conseguente aumento del 5% dei contributi ai fondi statali ZUS; la misura dovrebbe entrare in vigore in aprile, con l’obiettivo di evitare l’approfondirsi del debito dei fondi ZUS (3 mln € nel 2011, previsti 4 mln € nel 2020) e consentire un risparmio di 61,5 mln €, pari al 15% del PIL. I contributi per i fondi privati sarebbero re-innalzati a partire dal 2013, con l’obiettivo di raggiungere il 3,5% entro il 2017, anche grazie ad incentivi fiscali per contribuzioni extra.

Il piano è controverso, anche per la rilevanza dei fondi pensione privati nell’economia polacca. I fondi OFE hanno prestazioni migliori (200%) rispetto ai fondi ZUS per i singoli cittadini (rendimenti più alti che i depositi bancari e le obbligazioni), e costituiscono una notevole fonte di investimenti per la Borsa di Varsavia (WSE), anche se per legge tali fondi non possono investire più del 40% in azioni. Pure se tale tetto venisse alzato, come previsto dal piano del governo, al 62%, i fondi OFE avrebbero meno denaro da investire. Si rischierebbe così una situazione di incertezza e di diminuzione dei valori di borsa, con impatto negativo sulla crescita, e una diminuzione permanente dell’importanza dei mercati finanziari nel sistema pensionistico polacco. Infine, i critici rimarcano che tale mossa non costituirebbe comunque una soluzione durevole per le finanze pubbliche, la cui situazione di debito è strutturale.

Leszek Balcerowicz ha attaccato frontalmente il progetto di riforma, considerandolo una scorciatoia con l’effetto negativo di ridurre la crescita e diminuire le future pensioni. Balcerowicz ha proposto un piano alternativo per coprire il debito, basato su ulteriori privatizzazioni e tagli sociali: tra le altre cose, sono previsti il livellamento dell’età pensionistica tra uomini e donne, e la riduzione delle detrazioni familiari e delle compensazioni di malattia (dall’80 al 60%), dei contributi per i funerali (da 4.000 a 1.100 zl) e dei sussidi agli agricoltori benestanti.
Tusk ha ribattuto dicendo che è preferibile colpire le istituzioni finanziarie piuttosto che “mettere le mani nelle tasche dei cittadini”, e che per ottenere il risparmio voluto i tagli sociali dovrebbero essere ancora più forti.
L’opinione pubblica non sembra reagire positivamente alle prospettive di riforma: solo il 18% ha espresso supporto al piano del governo, mentre il 49% si è dichiarato contrario, malgrado i fondi statali ZUS ispirino ancora più fiducia rispetto ai fondi OFE (38% contro 25%).

La situazione economico-finanziaria della Polonia è ancora buona, ma non tanto da permettersi di non procedere alle riforme. Dopo essere stato l’unico paese UE in crescita economica nel 2009 (+1,7% PIL), nel 2010 la Polonia (+3,8%) è stata raggiunta e superata da Germania e Slovacchia. L’inflazione ha raggiunto il 3,8% in gennaio, ed inizia a preoccupare, aumentando le pressioni sulla banca centrale perché aumenti i tassi d’interesse. La crescita del deficit (+6,5% nel 2011) e del debito pubblico rappresentano inoltre una preoccupazione, soprattutto dato che non sono giustificate da interventi pubblici di assistenza finanziaria come avvenuto in altri paesi; il commissario UE Olli Rehn ha chiesto che il deficit sia riportato al +3% entro il 2012, anziché entro il 2013 come pianificato dal governo. La Polonia sarà inoltre presto il paese UE con la più bassa età pensionabile (62 anni). Barclays ha sottolineato come la dipendenza dagli investitori internazionali per l’acquisto dei bond polacchi non permetta di escludere il rischio estremo di bancarotta del paese in caso di una nuova crisi finanziaria.

POLONIA: Tusk nella tempesta perfetta

scritto per East Journal, 21 febbraio 2011

Il 2011 non è iniziato bene per il governo polacco di Donald Tusk. I sondaggi di gennaio danno il partito di governo, Piattaforma Civica (PO) in flessione tra il 9 e il 16%; a luglio avrà inoltre inizio il semestre polacco di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, durante il quale ad ottobre il governo affronterà le elezioni. La decisione di tenere le elezioni durante il semestre di presidenza, presa in un momento in cui il sostegno al governo sembrava stabile, inizia a preoccupare più d’uno tanto a Varsavia quanto a Bruxelles.

            Tre fattori per una tempesta perfetta
Cosa ha causato un declino tanto rapido quanto significativo per Tusk? Almeno tre fattori sono entrati in gioco contemporaneamente in questo inizio d’anno.
1) In primo luogo, il fiasco del nuovo orario ferroviario, messo in atto il 15 dicembre, ha costretto masse di polacchi in rientro per Natale a ritardi ed attese al freddo; in un paese in cui le principali arterie autostradali sono ancora in costruzione, le ferrovie continuano a rappresentare uno dei maggiori mezzi di spostamento per la popolazione. L’opposizione ha chiesto le dimissioni del ministro delle infrastrutture, ma la maggioranza le ha rifiutate, dando un’impressione di arroganza del potere.
2) In secondo luogo, sono risultate controverse le conclusioni della commissione interstatale russo-polacca dell’aviazione (MAK) sul disastro aereo di Smolensk dell’aprile 2010, in cui persero la vita il presidente della repubblica Lech Kaczynski assieme ad altri 90 membri dell’elite politico-culturale polacca. Il rapporto è apparso notevolmente sbilanciato, dando la colpa del disastro ai piloti polacchi senza riconoscere alcun errore da parte della torre di controllo di Smolensk, e ha sfiorato l’oltraggio e il ridicolo nel citare la presenza di alcool nel sangue del capo di stato maggiore polacco, passeggero sul volo e anch’egli morto nel disastro. Il governo di Tusk è stato accusato di essere troppo accondiscendente verso i russi, e di aver accettato un’umiliazione per la Polonia.
3) Infine, Tusk è stato attaccato da parte dei liberali per il suo piano di riforma delle pensioni. Leszek Balcerowicz, già ministro delle finanze nel 1989-91 e autore della transizione della Polonia al capitalismo, ha rigettato il piano di riforma, definendolo a rischio di diminuire la crescita economica e le pensioni future. La querelle è stata definita una “guerra nel campo della modernizzazione” e ha diminuito la credibilità del governo di fronte ai liberali, che già gli rinfacciano il ritardo nelle tanto promesse riforme.
Più di un giornale ha iniziato a speculare su un possibile rimpasto nel governo Tusk nei prossimi mesi, al fine di recuperare popolarità prima delle elezioni d’autunno.

Il vento delle elezioni
Il dibattito politico resta infiammato: Jaroslaw Kaczynski, leader del maggior partito di opposizione Legge e Giustizia (PiS), è  intenzionato a spingere sulla retorica populista e sul sentimento anti-russo. Il suo riferimento sembrano essere le manifestazioni di piazza che, nel 2006, spinsero alle dimissioni il governo Gyurcsany in Ungheria, aprendo la strada al ritorno elettorale del partito di destra Fidesz che era stato marginalizzato nel 2002. Kaczynski si candida al ruolo di nuovo Orban per la Polonia, proprio nel momento in cui questi, alla presidenza semestrale del Consiglio dell’UE, è nel mirino dell’UE per le nuove leggi contro la libertà di stampa e le tasse sulle banche straniere.
L’arma principale di Kaczynski resta la tragedia di Smolensk, a cui riferirsi continuamente per attaccare il governo e la sua supposta mancanza. Tuttavia, anche Smolensk inizia a logorarsi come strategia di mobilitazione dell’opinione pubblica, quantomeno tra i giovani: un evento lanciato su Facebook per il 3 febbraio, “One day without Smolensk”, ha velocemente raccolto un ampio numero di adesioni.
Il calo di PO nei sondaggi preoccupa più di un deputato, anche visto che solitamente PO raccoglie nelle urne meno consensi di quanti i sondaggi tendano a registrarne. Nelle ultime settimane sono riapparse le chiamate a riprendere il cammino delle riforme prima del termine della legislatura: progetti di legge sulla sanità, sull’educazione superiore e sulla semplificazione burocratica sono da tempo all’esame del Sejm.

Tuttavia, proprio la retorica aggressiva e populista di Kaczynski e le sue concezioni economiche stataliste lo rendono inadatto a raccogliere il consenso dei delusi da Tusk; né i partiti minori (agrari del PSL o socialdemocratici del SLD) hanno la statura per proporre candidati premier alternativi credibili. Tusk pertanto continua a mostrarsi sicuro della prospettiva di rielezione. Ma il rischio è che un calo dei consensi per PO, causato dall’astensione dei suoi supporter liberali, possa forzarlo nella prossima legislatura ad una coalizione che accolga, oltre al PSL agrario, il SLD socialdemocratico o i liberal-conservatori di PJN, mettendo così a rischio le prospettive di una riforma finanziaria di ampia portata.

(vignette del Warsaw Business Journal

venerdì 4 febbraio 2011

GEORGIA - Cosa resta della Rivoluzione delle Rose. La politica estera di Tblisi.

Manifestazioni a Tblisi nel 2003
Scritto per East Journal, (magazine online in uscita a marzo 201)



Il 2010 è stato segnato dalle visite a Tbilisi del presidente turco Erdogan e del ministro degli esteri iraniano Mottaki, mentre una visita di Ahmadinejad è stata rimandata sine die. In che direzione sta andando la repubblica caucasica, che continua a dipingersi come democratica e a credere nelle possibilità di integrazione nella NATO e nell’Unione Europea?

Due fattori fondamentali hanno modificato la situazione internazionale della Georgia negli ultimi due anni, costringendola a rivedere la propria politica estera: la guerra russo-georgiana del 2008, e l’elezione di Obama alla Casa Bianca.
Il conflitto sud-osseto tra Russia e Georgia ha messo fine agli obiettivi del nuovo governo di Mikheil Saakashvili, uscito dalla Rivoluzione delle Rose del 2003, di restaurare la sovranità georgiana sulle province secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud, dopo esser riuscito già nel 2004 a recuperare il controllo dell’Ajara. Inoltre, ha mostrato come la Russia sia disposta ad intervenire militarmente al di fuori dei propri confini. La Russia di Putin, potenza regionale a tendenza autoritaria che occupa militarmente le due province secessioniste, costituisce oggi la nemesi della repubblica caucasica.
Dall’altra parte, l’elezione di Barack Obama ha segnato il venir meno del sostegno incondizionato degli Stati Uniti ai governi filo-occidentali dei ex paesi satelliti dell’impero (Georgia ed Ucraina in primis) a favore di un dialogo costruttivo con Mosca per il raggiungimento di obiettivi comuni nei campi della diplomazia e del disarmo. La cooperazione tra Stati Uniti e Federazione Russa sul disarmo nucleare (trattato START-2), sulle sanzioni all'Iran, e infine sulla difesa missilistica hanno lasciato la Georgia isolata: il Congresso ha levato il suo veto sul patto di cooperazione nucleare Usa-Russia, già giustificato dall’occupazione russa di Abkhazia e Ossezia del Sud. Inoltre, la Georgia ha visto da allora affievolirsi le prospettive di integrazione nella NATO, unica alleanza militare in grado di garantirne la sicurezza. La Commissione NATO-Georgia ancora non ha fissato alcun obiettivo concreto per l'adesione della Georgia; Lavrov, ministro degli esteri russo, ha dichiarato di considerare lo U.S.-Georgia Strategic Partnership Charter del 2009 una reliquia del passato”; e la Francia è prossima a vendere a Mosca  navi da guerra che la marina russa prevede di utilizzare per la difesa marittima dell’Abkhazia.

La Georgia ha iniziato così a rafforzare le sue relazioni con l'Iran. Una visita reciproca dei ministri degli esteri si è svolta nell'estate 2010, con la promozione degli investimenti iraniani nelle centrali idroelettriche in Georgia e, di converso, investimenti georgiani nei progetti di energia eolica in Iran, oltre alla liberalizzazione del regime dei visti. Una visita di Ahmadinejad a Tbilisi, offerta da iraniani e preconizzata da Saakashvili, è stata rimandata sine die per evitare di inimicarsi troppo gli Stati Uniti. Le autorità georgiane si sono tuttavia subito preoccupate di sottolineare che lo sviluppo delle relazioni tra Georgia e Iran "non significa affatto un cambiamento nella politica estera della Georgia, né è in conflitto con i suoi obiettivi prioritari di integrazione con l'Unione Europea e la NATO", nelle parole del viceministro georgiano degli esteri NinoKalandadze .
Una delle maggiori ragioni del riavvicinamento tra Georgia ed Iran sta nel tentativo di disinnescare lo scontro tra Washington e Teheran sul dossier nucleare iraniano: un potenziale inasprimento della crisi darebbe alla Russia (del cui voto al Consiglio di Sicurezza ONU Obama ha un disperato bisogno) un ampio margine di manovra su Washington, lasciando così la Georgia in una scomoda situazione. Al tempo stesso, Tbilisi è in cerca di un maggior numero di alleati nella regione, anche se questi non dovessero essere amici dell’America.
Nel maggio 2010, la Georgia ha appoggiato entusiasticamente la mediazione turco-brasiliana sul dossier nucleare iraniano:
Questa è una questione di morte e di vita per i piccoli stati, questa è una questione di sopravvivenza. E' stata una situazione disperata per anni. (...) Questa è una vera e propria rivoluzione diplomatica e una grande vittoria diplomatica per l'Iran, l'Europa, gli Stati Uniti e del mondo e per l'intera regione, per la Turchia e, naturalmente, per la Georgia ... Questa è la pace per l'Iran e per l'intera regione e per la Georgia” (Saakashvili)
La posizione ufficiale degli Stati Uniti sulla questione è stata invece molto più fredda, continuando a lavorare per maggiori sanzioni in sede ONU sull’Iran:
Mentre sarebbe un passo positivo per l'Iran il trasferimento di uranio a basso arricchimento fuori dai suoi confini, come ha accettato di fare lo scorso ottobre, l'Iran ha detto oggi che continuerà il suo arricchimento del 20%, che è una diretta violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
Le relazioni irano-georgiane si sono intensificate ancora a seguito della visita del ministro degli esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, a Tbilisi, nel novembre 2010. Saakashvili ha elogiato il sostegno del governo iranianoper la sovranità e l'integrità territoriale della Georgia , sottolineando l'importanza dei colloqui tra il gruppo  P5+1 (Gran Bretagna, Cina, Francia, Russia, Stati Uniti e Germania) e l'Iran sul programma nucleare di quest'ultimo.
Il presidente Saakashvili ha dichiarato che la Russia starebbe "giocando" con il programma nucleare iraniano, usandolo per influenzare gli Stati Uniti. Secondo Saakashvili,
Il disegno della politica estera russa consiste nel mantenere vivo il problema, per capitalizzarne i benefici. Se la questione iraniana si risolve, cosa resta come leva per i russi verso gli Stati Uniti? Per questo continuano a giocarci in maniera intelligente - promettendo cose all’occidente, ma sostenendo nei fatti l’Iran. Penso che, nel processo, [i russi] abbiano perso la fiducia di tutte le parti, ma stanno facendo così da sempre”. Allo stesso tempo, Saakashvili ha sottolineato come “c’è un principio di base, che ovviamente Israele ha diritto alla sicurezza e all’esistenza, e nessuno può metterla in discussione - questo è cristallino per me”.
Durante una consultazione diplomatica con la Francia del settembre 2009, gli Stati Uniti hanno dichiarato di perseguire “una politica di sostegno della Georgia di fronte alle pressioni russe senza spingere il presidente Saakashvili ad agire in modi controproducenti", mentre la Francia ha sottolineato che stava esercitando pressioni su Saakashvili perché non rispondesse a qualsiasi tipo di provocazione, quale un eventuale attacco alle navi della marina georgiana. Nello stesso mese, Saakashvili ha avvertito gli Stati Uniti che la Georgia era stata lasciata "indifesa" e che la prospettiva delle elezioni presidenziali russe, con Putin di nuovo in corsa, potrebbe innescare un ulteriore conflitto con la Georgia intesa alla sua rimozione dal potere da parte delle forze russe.

La diversificazione della politica estera georgiana passa anche dal ravvivamento della sua cooperazione con gli Stati vicini, in primo luogo la Turchia: la visita di Erdogan nel maggio 2010 a Tbilisi è servita a ricordare che la Turchia è già il maggior partner commerciale della Georgia, e i due paesi hanno in programma di liberalizzare i visti reciproci entro l’anno. Infine, sono pronti i progetti per una ferrovia Tbilisi-Kars, che dovrebbe collegare la Georgia all’Europa.

La Georgia si inserisce inoltre nella relazione culturale e nella cooperazione energetica tra Turchia ed Azerbaijan. I due paesi turcofoni contano sul territorio georgiano per il passaggio degli oleodotti Baku-Ceyhan e Baku-Kars, e hanno ottenuto l’assicurazione che la Georgia non riesporterà il gas e petrolio azero verso l’Armenia. Inoltre, il 6,5% di azeri costituisce la principale minoranza etnica in Georgia. Infine, la Georgia simpatizza con la causa azera nel conflitto del Nagorno-Karabakh, in analogia con la propria posizione nei confronti di Abkhazia e Ossezia del Sud.

Infine il rapporto tra Georgia e Armenia costituisce, paradossalmente, una risorsa per Tbilisi nei confronti della Russia. Malgrado siano ciascuno alleato con il nemico dell’altro (la Georgia con Turchia ed Azerbaijan, l’Armenia con la Russia), i rapporti tra i due stati sono rimasti freddi ma cooperativi. L’Armenia, senza sbocco sul mare e rinchiusa tra le frontiere bloccate con Turchia ed Azerbaijan, ha assoluto bisogno della Georgia per assicurarsi il transito di merci ed energia verso la Russia e verso il mar Nero. La Georgia ospita sul suo territorio il passaggio di un oleodotto russo-armeno, che garantisce un minimo di sicurezza energetica alla Georgia, e può così contare sull’Armenia come moderatore e come eventuale ostaggio di un futuro ulteriore scontro con Mosca.

La direzione dell’attuale politica georgiana - recuperare il rapporto con l’Iran, mantenendo le proprie credenziali democratiche interne e il rapporto privilegiato con Washington - è pericolosa ma obbligata. Resta da vedere se Saakashvili riuscirà a consolidare la posizione della Georgia tanto quanto la propria: le manifestazioni di piazza dell’autunno 2007 e della primavera 2009 hanno dimostrato che anche in politica interna il governo georgiano non gode del supporto incondizionato della propria popolazione, e che le sue credenziali democratiche restano vacillanti.


La complessità della regione caucasica: stati, repubbliche autonome, territori sotto occupazione, enclavi
La politica delle alleanze tra stati caucasici e potenze regionali

Une Republique fondée sur la famille?


Selon le dernier rapport sur « la famille et le travail » de la Banque centrale italienne, l’État social italien est fondé sur la famille. En effet, de nombreux jeunes ne peuvent se permettre de fonder une famille que grâce à l’aide de leurs parents, parfois même de leurs grands-parents. Mais jusqu’à quand les familles seront-elles en mesure de suppléer à l’incapacité des gouvernements de mettre en place des amortisseurs sociaux ? Et quel model de justice et équité sociale propose l’Italie aujourd’hui à ses futurs citoyens ?
  
 
La démonstration devant la Conférence nationale sur la famille, tenue à Milan en Novembre 2010. Association “Certi diritti” et Marco Cappato. 



No country for young men
L’Italie se trouve en ce moment dans une situation où les jeunes savent qu’ils ne peuvent pas aspirer à la situation socio-économique de leurs pères. La Banque centrale remarque que 70% du nouveau chômage frappe les jeunes: faute de segmentation générationnelle du marché du travail, qui différentie leurs contrats de travail précaire des contrats à temps indéterminé et bien protégés, de leurs pères. La crise pourrait donc encore retarder l’émancipation professionnelle des jeunes. 

Maternités précaires
La situation est similaire, sinon pire, dans le cas de nouvelles familles, sujet d’une récente enquête de Vanguard pour Current TV. Le gouvernement offre un prêt de 5000 € à taux réduit à travers du « Fond nouveaux nés ». « Ridicule », commente une nouvelle-mère, « je préfère les demander à ma mère, qui au moins ne veut pas d’intérêts ». L’Italie dépense pour ses politiques sociales seulement 1,2% du PNB, tandis que la moyenne européenne est autour du 2,4% : il y manque toute ressource structurelle qui serait en mesure de soutenir les mères de nouveau-nés et leurs familles.
Dans les cas des travailleuses précaires, une maternité peut très vite les amener au chômage. Avoir un enfant aujourd’hui en Italie constitue un risque économique : la pauvreté relative des familles augmente de 10,8% à 12,1% avec le premier enfant, et jusqu’au 26,1% avec le troisième. 

Un bien-être social fondé sur des retraites
Il ne reste alors plus que de demander de l’aide aux grands-parents, qui aujourd’hui bénéficient d’une bonne retraite. La dépense italienne pour les retraites constitue la plus grande partie du budget social (le 30%, contre le 16% de moyenne en UE), puisqu’aucun gouvernement ne voudrait perdre le support de nombreux retraités.
Les retraites constituent le trésor caché des familles italiennes, en leur permettant de transférer des bénéfices aux fils et aux petits-fils, qui n’obtiennent pas d’aide sociale. Mais combien de temps encore sauront-elles résister à la crise ? Le manque d’un modèle de « croissance inclusive » retarde le moment où les jeunes peuvent fonder leur propre famille et conduit ainsi à une baisse de la croissance démographique.
L’attention à la famille reste un bon slogan, mais qui est aujourd’hui vidé de tout contenu. Les plans du gouvernement sont incertains, et les ressources limitées. A la dernière conférence nationale sur la famille, certains membres du gouvernement sont même allés jusqu’à proposer de -ne garantir les aides étatiques qu’aux familles régulièrement mariées et avec enfants. L’Italie reste en attente d’une véritable politique de la famille, capable de redresser la courbe démographique, déjà déprimée depuis des années et soutenue seulement par l’immigration.

martedì 1 febbraio 2011

Il ministro degli esteri del Vaticano

Ricapitoliamo:
Frattini va al Consiglio Affari Esteri dell'Unione Europea, ieri. Sul tavolo c'è da discutere di: Bosnia, Albania, Libano, Tunisia, Egitto (soprattutto Egitto).
Qual è la priorità che Frattini porta, a nome dell'Italia? La protezione delle minoranze cristiane nei paesi terzi. Intento meritorio, ma anche molto velleitario in assenza di un'efficace politica estera europea.  Ma vabbé: per un giorno, Frattini si fà ministro degli esteri del Vaticano, in prestito.

Ma soprattutto, che cosa ottiene? Sul tavolo c'è già un documento che impegna l'UE a promuovere il rispetto delle minoranze religiose tutte, non solo cristiane: il riferimento è anche agli sciiti iracheni: l'UE condanna "fermamente" gli "atti di terrorismo contro luoghi di culto". Onesto compromesso, si dirà. E invece no, il Nostro batte i pugni sul tavolo perché i cristiani non sono esplicitamente menzionati: "laicismo esasperato", grida, e fa saltare l'approvazione del documento. Contro la modifica proposta da Frattini su un testo già concordato non ci si mettono solo i socialisti spagnoli e portoghesi, ma pure il governo conservatore della cattolica Irlanda, e il Granducato del Lussemburgo (ohibò, quell'empio del granduca!), nonché dietro le quinte i governi (tutti conservatori!) di Gran Bretagna, Danimarca, Svezia e Finlandia.

La Repubblica titola: "UE, schiaffo all'Italia sulla difesa dei cristiani": e si ricomincia la tarantella della disinformazione su quanto è cattiva, massonica e laicista l'Europa.

Farò peccato, ma tento di azzeccarci: il tutto costituisce un'abile mossa (perdente in partenza) del governo Berlusconi IV per sollevare il solito polverone mediatico, dare un contentino al Papa e far smettere gli attacchi da parte di CEI e giornali cattolici per via dell'aberrante comportamento del nostro premier. Se Frattini avesse voluto veramente fare qualcosa per la protezione dei cristiani, avrebbe fatto meglio ad agire da mediatore ed accettare un compromesso, anziché fare saltare il tavolo, alle spese proprio delle minoranze cristiane nei paesi terzi.

concludiamo con un pezzo di umorismo nero:
Dopo un processo che l'Iran ha definito equo, è stata giustiziata tramite impiccagione Zahra Bahrami. Ammettetelo, per un attimo avete tremato per Sakineh. (Richi Selva)

POLONIA: Verso le elezioni, l'egemonia di Piattaforma Civica

scritto per East Journal, 25 gennaio 2011

“Non c’è nessuno da battere”.  Non lo dice Berlusconi né Lukashenko, ma Donal Tusk, primo ministro della Polonia e leader di Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska, PO), partito vincitore delle ultime quattro tornate elettorali in Polonia.

elezioni
PO (Ppe)
PiS (Ecr)
SLD (Pse)
PSL (Ppe)
partecipazione al voto
27,18%
25,08%
14,25%
13,24%
45,99%
1,51%
32,11%
13,15%
8,91%
53,88%
41,54%
34,46%
13,68%
1,75%
54,94%
39 %
25%
--
16,5%
~40%
2011 politiche (exit polls)
~35-40%
~25%
~15%
~5%


[1]dati relativi alle elezioni ai consigli regionali (voivodati), dove la percentuale di liste civiche è meno rilevante e i dati sono più comparabili a livello nazionale
Il suo governo, europeista e pro-business, al potere dal 2007, assumerà da luglio 2011 la Presidenza a rotazione del Consiglio dell’Unione Europea, dopo il semestre ungherese. Proprio durante il semestre di presidenza Tusk affronterà, in ottobre, le elezioni politiche, ma la coincidenza non sembra spaventarlo. I sondaggi danno PO come primo partito, ben distanziato dall’opposizione socialdemocratica così come da quella conservatrice.

Il sistema politico polacco si è stabilizzato a partire dal 2001 attorno a due nuovi partiti di centrodestra: Piattaforma Civica (PO), liberal-conservatore, e Diritto e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość, PiS), nazional-conservatore, successori politici del blocco di Solidarność. I post-comunisti, riuniti nell’Alleanza Democratica della Sinistra (Sojusz Lewicy Demokratycznej, SLD), hanno perso il ruolo di secondo partito a partire dal 2005, mentre il partito agrario (Partito Popolare Polacco, Polskie Stronnictwo Ludowe, PSL) si è ricostituito come partito di centro, alleato di PO. Nel Parlamento Europeo, SLD siede con i socialisti e democratici (S&D), mentre PO e PSL siedono con il PPE; PiS è il principale alleato dei Tories britannici nel gruppo conservatore ed euroscettico ECR.

L’arrivo al potere di Tusk e di Piattaforma Civica, alle elezioni anticipate del 2007, ha messo termine ai due anni di egemonia di Diritto e Giustizia, alleato ai gruppi populisti e conservatori Autodifesa e Lega delle Famiglie Polacche. La presidenza di Lech Kaczyński e i premierati di Kazimierz Marcinkiewicz e Jarosław Kaczyński avevano spostato la Polonia in direzione conservatrice ed euroscettica, inasprito le relazioni estere ed innalzato il livello di conflittualità interna attraverso nuove leggi di lustrazione volte ad appurare il passato comunista di politici ed amministratori.

A partire dalla Costituzione del 1997, sebbene il Presidente della Repubblica sia dotato di alcuni poteri legislativi (iniziativa, veto), l’esecutivo è nelle mani del Primo Ministro.
La coabitazione del 2007-2010 tra un premier centrista, Tusk, e un presidente conservatore, Kaczyński, già rivali alle elezioni del 2005, si dimostrò non semplice. La politica estera di Tusk, filoeuropea, ha condotto ad una distensione nelle relazioni della Polonia con Russia e Germania, distanziandosi dall’atlantismo di Kaczyński attraverso il ritiro dei soldati polacchi dall’Iraq e la negoziazione per uno scudo missilistico più ridotto e leggero. In politica interna, Kaczyński ha cercato di opporre il veto presidenziale a diverse  riforme del governo (pensioni,agricoltura, urbanistica, televisione pubblica). I due si sono spesso beccati su questioni diverse, dall’integrazione europea ad omosessualità e politica estera. A proposito delle riforme costituzionali, Tusk ha proposto l’abolizione o la diminuzione dei poteri di veto presidenziali, la riduzione del numero dei Senatori, e l’abolizione dell’immunità parlamentare generalizzata.

Nell’aprile 2010, Lech Kaczyński ha trovato la morte nel disastro aereo di Smolensk. Alle successive elezioni presidenziali anticipate, in cui era dato per favorito, Tusk decise di non correre, mantenendo il posto da primo ministro. Jarosław Kaczyński, ex premier, condusse una campagna elettorale sull’onda della commozione per la morte del fratello e del paragone storico con l’eccidio di Katyn, che Lech Kaczyński andava a commemorare. Tuttavia, le elezioni presidenziali hanno infine premiato Bronisław Komorowski, candidato di Piattaforma Civica.
Ancora nell’autunno 2010, le elezioni locali hanno confermato la preminenza di Piattaforma Civica, che si è assicurata la rielezione del sindaco di Varsavia, Hanna Gronkiewicz-Waltz, mentre Diritto e Giustizia ha subito la scissione della propria fazione liberale, già a capo del comitato elettorale di Jarosław Kaczyński, che hanno fondato il gruppo parlamentare La Polonia è la Più Importante (Polska jest Najważniejsza, PjN). 

Tusk si avvia tranquillo verso le elezioni del 2011. Il ruolo di primo piano di Piattaforma Civica, così come il rinnovo del suo premierato, non dovrebbero essere in discussione, mentre la consonanza politica con il presidente Komorowski gli eviterà l’opposizione di veti presidenziali alle iniziative legislative, e potrebbe consentirgli di portare in porto, nel prossimo mandato, una riforma costituzionale in senso parlamentare, con la diminuzione dei poteri del presidente della repubblica, che abbassi il livello di conflittualità politica della forma di governo della Polonia.
Tuttavia, la mancanza di una reale alternativa politica e di una opposizione forte potrebbe costituire un problema per la democrazia polacca nei prossimi quattro anni. La divisione elettorale tra PO e PiS corre infatti lungo linee di demarcazione geografiche che sembrano rispecchiare i confini tra i territori della Prussia e della Polonia del Congresso del XIX secolo, indicando una ancora profonda divisione culturale del paese tra aree progressiste e conservatrici.




Confini del Regno di Polonia (Polonia del Congresso), tributario dell’Impero Russo, 1815-1915
risultati per contea del primo turno delle elezioni presidenziali polacche (20 giugno 2010)